Catania tra storia e tradizione
Catania tra storia e tradizione non è facile da raccontare. La città siciliana, capoluogo dell’omonima provincia, ha una storia lunga ventotto secoli, attraverso i quali ha vissuto sotto le dominazioni greca, romana, ostrogota, bizantina, musulmana, francese e spagnola fino all’annessione al regno d’Italia nel 1860.
Probabilmente era un insediamento d’origine sicano, in seguito occupato da popolazioni sicule.
La città di Katane (in greco Kατάvη) fu fondata, secondo il racconto di Tucidide nel suo resoconto della Guerra del Peloponneso, dai greci calcidesi guidati da Tucle e salpati da Naxos, nel quinto anno dopo la fondazione di Siracusa.
Avendo scacciato con le armi i siculi, fondarono le città di Lentini e Katane. I nuovi abitanti di quest’ultima elessero come loro ecista Evarco.
Dalle fonti storiografiche, quindi, Catania fu fondata tra il 729 e il 728 a.C. da coloni greci provenienti dalla città Calcide, nell’Eubea.
L’abitato arcaico doveva occupare una collina ben difendibile, immediatamente a ovest del centro della città moderna, in coincidenza dell’antico rione Montevergine, di piazza Dante e dell’ex-convento dei Benedettini (scavi del 1978).
Si sa pochissimo sul primo periodo della sua storia. Ad esempio l’origine catanese del celebre legislatore Caronda, che fu esiliato e si trasferì da Reggio.
Vi avrebbero soggiornato numerosi e celebri uomini di cultura, come il filosofo Senofane da Colofone (tra i fondatori della scuola eleatica) e i poeti Ibico e Stesicoro, che vi morì (la sua tomba era indicata presso la principale porta a nord della città, che da lui prese il nome di porta Stesicorea).
La dominazione siracusana
All’inizio del V secolo a.C. Catania venne conquistata da Ippocrate di Gela. Nel 476 a.C. Gerone I, tiranno di Siracusa, ne deportò gli abitanti a Leontinoi, e li sostituì con 10.000 nuovi abitanti, in parte siracusani, in parte peloponnesiaci, e data ad amministrare a suo figlio Dinomene.
Anche il nome della città venne modificato in Aitna (Etna): con tale nome è celebrata nella Pitica I di Pindaro, scritta in onore di Gerone, e nella tragedia perduta di Eschilo, rappresentata per l’occasione (Le Etnee).
Ma solo pochi anni più tardi, dopo la morte di Ierone, Ducezio insieme ai siracusani costrinse i nuovi abitanti a trasferirsi a Inessa (che assunse allora a sua volta il nome di Aitna), centro forse corrispondente alla Civita di Paternò. Dal 461 a.C. Catania recuperò così il suo nome e i suoi antichi abitanti.
Durante la guerra tra Siracusa e Atene (v. spedizione ateniese in Sicilia), Catania, inizialmente neutrale, prese poi posizione a favore di Atene, dopo un celebre discorso che Alcibiade avrebbe pronunciato davanti all’assemblea riunita nel teatro della città.
Sottoposta per questo a un’offensiva di Siracusa, dopo la sconfitta degli Ateniesi fu salvata dall’invasione cartaginese della Sicilia del 409 a.C. Ma poco dopo il 403 a.C. Dionisio I di Siracusa riuscì a conquistarla, e ne vendette in parte come schiavi gli abitanti.
I superstiti si rifugiarono in un primo tempo a Milazzo, ma da qui poi furono espulsi, e si dispersero in varie località della Sicilia.
Dionigi ripopolò la città con i suoi mercenari campani. Nel 345 a.C. fu tiranno di Catania il sabellico Mamerco, che in un primo tempo si alleò con Timoleonte, ma successivamente passò ai Cartaginesi.
Sconfitto da Timoleonte nel 338 a.C., egli si rifugiò a Messina; caduto nelle mani dei siracusani, sarebbe stato crocifisso, dopo aver subito un processo nel teatro di Siracusa.
Il periodo romano
Nel 263 a.C., all’inizio della prima guerra punica, Catania (lat. Catĭna o Catăna) venne conquistata dai Romani, sotto il comando del console Massimo Valerio Messalla.
Del bottino faceva parte un orologio solare che fu collocato nel Comitium a Roma.
Da allora la città fece parte di quelle soggette al pagamento di un’imposta a Roma (civitas decumana). È noto che il conquistatore di Siracusa, Marco Claudio Marcello, vi costruì un ginnasio.
Intorno al 135 a.C., nel corso della prima guerra servile, fu conquistata dagli schiavi ribelli.
Un’altra rivolta capeggiata dal gladiatore Seleuro nel 35 a.C., fu domata probabilmente dopo la morte del condottiero.
Nel 122 a.C., a seguito dell’attività vulcanica dell’Etna, fu fortemente danneggiata dalle ceneri vulcaniche stesse piovute sui tetti della città che crollarono sotto il peso.
Il territorio di Catina, dopo essere stato nuovamente interessato dalle attività eruttive del 50, del 44, del 36 e infine dalla disastrosa colata lavica del 32 a.C., che rovinò campagne e città etnee, nonché dai fatti della disastrosa guerra che aveva visto la Sicilia terreno di scontro fra Ottaviano e Sesto Pompeo, si avviò sulla lunga e faticosa strada della ripresa socio-economica già in epoca augustea.
Tutta la Sicilia alla fine della guerra viene descritta come gravemente danneggiata, impoverita e spopolata in diverse zone. Nel libro VI di Strabone in particolare si accenna alle rovine subite dalle città di Syrakusæ, Katane e Kentoripa.
Dopo la guerra contro Sesto Pompeo, Augusto vi dedusse una colonia. Plinio il Vecchio annovera la città che i romani chiamano Catina fra quelle che Augusto dal 21 a.C. elevò al rango di colonie romane assieme a Syracusæ e Thermæ (Sciacca).
Solo nelle città che avevano ricevuto il nuovo status di colonia furono insediati gruppi di veterani dell’esercito romano.
La nuova situazione demografica certamente contribuì a cambiare quello che era stato, fino ad allora, lo stile di vita municipale a favore della nuova “classe media”.
Nonostante questi continui disastri, che costituiscono una delle costanti della sua storia, Catania conservò una notevole importanza e ricchezza nel corso della tarda repubblica e dell’impero.
Cicerone la definisce «ricchissima», e tale dovette restare anche nel corso del tardo impero e nel periodo bizantino, come si deduce dalle fonti letterarie e dai numerosi monumenti contemporanei, che ne fanno un caso quasi unico in Sicilia.
Le grandi città costiere come Catina, nel corso del medio-impero, estesero il loro controllo, anche a fini esattoriali dello stipendium, su un vasto territorio nell’entroterra dell’isola che si andava spopolando a causa della conduzione latifondistica della produzione agricola.
La “vara” di Sant’Agata
Il Cristianesimo vi si diffuse rapidamente; tra i suoi martiri, durante le persecuzioni di Decio e di Diocleziano, primeggia Sant’Agata, patrona della città, e Sant’Euplio. La diocesi di Catania è accertata fin dal VI secolo.
Catania nel thema bizantino
Le invasioni barbariche della seconda metà del V secolo sconvolsero tutta la Sicilia e quindi anche Catania.
Particolarmente critico sembra essere stato il passaggio dei Vandali di Genserico negli anni 440 e 441 provenienti da Cartagine: causò danni talmente gravi da indurre le autorità alla remissione del pagamento dei tributi.
Nel 476, Genserico cede ad Odoacre, re degli Eruli, la Sicilia in cambio di un tributo. Teodorico, divenuto re degli Ostrogoti nel 474, dopo aver sconfitto più volte Odoacre in Italia lo uccise nel 493 restando così l’incontrastato padrone d’Italia.
Il generale bizantino Belisario, inviato da Giustiniano a riconquistare l’Italia, occupò con facilità la Sicilia nel 535.
Nuovi scontri fra Belisario e gli Ostrogoti di Totila si verificano fra il 542 e il 548, anno in cui il generale bizantino venne richiamato a Costantinopoli. Catania fu di nuovo occupata da Totila nel 550, ma dopo la sconfitta degli Ostrogoti in Umbria e la morte di Totila nel 552, tutta la Sicilia tornò sotto il controllo bizantino nel 555.
Fu proprio da Catania che ebbe inizio la riconquista bizantina dell’isola, e in essa ebbe sede probabilmente il governatore civile bizantino (praetor o praefectus). Rimase bizantina sino alla conquista musulmana che avvenne nel IX secolo.
Emirato di Catania
La città di Catania, conquistata tra gli anni 867 e 900 a seguito di numerosi saccheggi e devastazioni delle sue campagne, divenne emirato in anni non specificati e nel 1050 era retto da Ibn Maklati, cognato dell’emiro Al Hawwas di Castrogiovanni (Enna), il quale fu sconfitto e ucciso da Ibn Timnah che ne maritò la vedova.
Dal 1050 alla conquista normanna, l’emirato di Catania fu unificato a quello di Catania sotto l’amministrazione di Ibn Timnah. Del periodo islamico tuttavia non rimangono molte notizie e l’unica descrizione abbastanza approfondita è in Ibn Idrisi, il quale tuttavia descrive una città già ormai pienamente normanna, essendo la sua opera del 1153:
« […] Da Aci alla città di Catania si contano sei miglia. Questo bel paese, cui danno anche il nome di Balad-el-fil (città dell’elefante) è di grande importanza e di molta fama. Posta sulla spiaggia del mare, la città di Catania ha mercati molto frequentati, splendidi palazzi, delle moschee ordinarie e delle moschee cattedrali, bagni, alberghi, un fondaco e un bel porto. Da ogni parte dell’orizzonte muovono viaggiatori alla volta di Catania; vasti sono i giardini, buona e fertile la campagna, forti le mura della città, estesa la giurisdizione. L’elefante, dal quale Catania si denomina usualmente, è un talismano di pietra in forma di quell’animale […] »
(Estratti di Idrisi, “Il Libro di Ruggero”)
L’età normanno-sveva
I Normanni, o meglio Ruggero d’Altavilla – ultimogenito di Tancredi d’Altavilla – assieme ai suoi fanti e cavalieri “cattolici” professionisti della guerra, provenienti dal ducato di Normandia e che poco avevano a che fare con i loro “barbari” antenati vichinghi (fase storica tra i secoli VIII e XI), misero piede in Sicilia nel 1060.
Dopo aver conquistato Cerami, Troina, Palermo ed altre città, nel 1072 si impadronirono di Catania che ebbe un periodo di rinnovato splendore sotto la guida del vescovo benedettino Ansgerio (Ansgar) voluto dallo stesso Gran Conte Ruggero.
Gli Svevi, con la dinastia degli Hohenstaufen, presero il potere in Sicilia grazie ad matrimonio fra Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II d’Altavilla con Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa.
Morto il giovane Guglielmo III, ultimo re del regno di Sicilia e prigioniero in Germania, Enrico VI rivendicò l’Italia meridionale e la Sicilia. Nel 1194 e nel 1197 Catania, che aveva sostenuto Tancredi di Sicilia prima e poi osato ribellarsi agli Svevi, fu saccheggiata dalle truppe germaniche.
Alcune leggende raccontano di un rapporto poco felice con il grande Federico II e più in generale con gli Hohenstaufen. In realtà non c’è traccia di una rivolta a Catania, contro Federico II, avvenuta nel 1232.
Catania, divenuta demaniale con la maggiore età di Federico, non fu più signoria del vescovo-conte ed ebbe in pratica la sede vescovile vacante fin dal 1221 (e tale rimarrà sostanzialmente fino al 1254) a causa del perenne contrasto fra l’autorità imperiale sveva e quella ecclesiastica del papato.
Lo storico Kantorowicz scrive che, “Durante gli ultimi decenni di regno, Federico si recò una sola volta in Sicilia, a reprimervi la rivolta di Messina (1223)“.
Nel 1239 Federico dà il via anche a Catania alla costruzione di una fortezza a difesa del porto che poi prese il nome di Castello Ursino; opera di fortificazione documentata dalle cosiddette lettere lodigiane di Federico II, che venne realizzata sotto la direzione del praepositus aedificiorum Riccardo da Lentini.
Il castello, che fu iniziato quando già quelli di Augusta e Siracusa erano quasi ultimati, faceva parte di un più generale progetto di fortificazione dei punti strategici dell’intera costa ionica. I noti rapporti burrascosi fra il papato e Federico II fecero nascere diverse leggende tra le quali quella che vuole che il castello Ursino sia stato voluto da Federico per tenere a bada la popolazione.
L’arrivo degli angioini e il Vespro
Il Castello Ursino all’inizio del XX secolo
Alla fine della dinastia degli Hohenstaufen, nel 1266 la Sicilia venne assegnata dal Papa, che considerava l’isola patrimonio della Chiesa, a Carlo I d’Angiò; ma il dominio angioino ebbe breve durata.
I catanesi, che avevano subito ingiustizie, sfruttamenti ed erano stati danneggiati economicamente dalla chiusura dei porti della città, contribuirono validamente al rovesciamento della “mala signoria”.
I più importanti nomi che animarono la rivolta a Catania furono quelli di Palmiero, abate di Palermo, Gualtiero da Caltagirone, Alaimo da Lentini e Giovanni da Procida.
Quest’ultimo nel 1280, travestito da monaco, si recò dal papa Niccolò III, dall’imperatore di Bisanzio Michele Paleologo e dal re Pietro III d’Aragona, per chiedere al papa di non appoggiare Carlo d’Angiò in caso di rivolta, all’imperatore Michele l’appoggio esterno contro il nemico comune e al re d’Aragona di far valere il suo diritto al trono di Sicilia in quanto marito di Costanza figlia di Manfredi, l’ultimo degli Hohenstaufen.
Il regno di Trinacria, il periodo di Catania capitale
Catania sarà capitale non solo del regno dell’isola ma anche di una porzione di territori del Mediterraneo.
Nel 1282 i moti conosciuti come Vespri siciliani posero fine al dominio dell’isola da parte della dinastia francese.
Appena scoppiò la rivolta in Sicilia, la flotta aragonese era già a Palermo e l’occupazione della città da parte di Pietro dava così inizio alla dominazione degli Aragonesi in Sicilia (1282-1415), in quanto lo stesso Pietro era sposato con la figlia di Manfredi, Costanza che era nata proprio nella città etnea.
Catania fu la sede dell’incoronazione del re aragonese con il nome di Pietro I di Sicilia, ed acquistò una posizione di privilegio in quanto nel corso del XIV secolo venne scelta spesso come sede del parlamento e dimora della famiglia reale.
A Pietro III successe, in Aragona, il suo primogenito Alfonso III d’Aragona, e in Sicilia il suo secondogenito Giacomo, che già nel 1287 dovette respingere, con l’aiuto dell’ammiraglio Ruggero di Lauria, le rinnovate pretese degli angioini che avanzavano verso Catania da terra e dal mare.
Alla morte del fratello Alfonso III, Giacomo prese il suo posto e lasciò in Sicilia suo fratello Federico come vicario.
Ma la politica di riavvicinamento, di accordi e di legami matrimoniali con la casa d’Angiò, caldeggiata anche da papa Niccolò IV, non piacque ai siciliani che il 15 gennaio 1296 si riunirono in parlamento a Catania ed elessero loro re il giovane Federico III che darà il via alla nascita di un regno del tutto indipendente.
Aragonesi e Angioini, alleati per l’occasione, attaccarono le difese siciliane che, anche grazie al tradimento di due catanesi, furono superate. A Catania Roberto d’Angiò prese possesso del castello Ursino, dove poco tempo dopo nacque Luigi futuro re di Napoli.
La guerra, che sembrava essersi conclusa con al pace di Caltabellotta (1302) che assegnava la Sicilia a Federico d’Aragona con il titolo di re di Trinacria, proseguì nel 1313. Federico, contravvenendo agli accordi, si confermò re di Sicilia e proclamò suo erede il figlio Pietro che gli successe nel 1337.
Sarebbe stato il figlio di Pietro, Ludovico che, grazie all’intermediazione dello zio Giovanni d’Aragona, sarebbe riuscito a tenere testa sia alle lotte interne fomentate dalle due fazioni baronali sia alle incursioni del re di Napoli.
Nel Castello Ursino l’8 novembre 1347 Giovanni d’Aragona, tutore di Ludovico di Sicilia e vicario del regno di Trinacria, firmava con Giovanna d’Angiò la cosiddetta Pace di Catania per cercare di porre soluzione alla guerra del Vespro.
Federico il Semplice lasciò il regno alla figlia minorenne Maria, nata dal matrimonio con Costanza, figlia del re Pietro IV d’Aragona, affiancata da quattro vicari: Artale Alagona, Guglielmo Peralta, Francesco Ventimiglia e Manfredi Chiaramonte.
Artale Alagona scelse per la giovane regina Maria la residenza del castello Ursino di Catania, progettando di darla in sposa a Galeazzo Visconti, duca di Milano.
Ma la fazione capeggiata dai Ventimiglia, baroni d’origine catalana, volevano che sposasse Martino figlio del duca di Monteblanc presunto erede del trono aragonese.
Il rapimento di Maria portato a termine da Guglielmo Raimondo Moncada fece fallire i progetti del Gran Giustiziere del regno e permise il matrimonio della regina con Martino di Monteblanc. Re Martino, dopo la morte di Maria avvenuta nel 1402, sposò Bianca, erede del trono di Navarra, che scelse di stabilirsi a Catania assieme alla corte.
Ma Martino morì a Cagliari nel 1409 all’età di 33 anni e a lui succedette il vecchio padre Martino duca di Monteblanc, che però sarebbe morto l’anno successivo.
Il rinascimento ed il periodo barocco
I Viceré, il governo spagnolo
Catania fu teatro delle traversie avute dalla regina Bianca di Navarra a causa delle mire per la successione al trono da parte del Gran Giustiziere Bernardo Cabrera, conte di Modica.
Con l’elezione di Ferdinando I come re di Aragona, Valencia e Catalogna la Sicilia fu dichiarata parte del regno aragonese. La vedova regina Bianca fu confermata “vicaria”. La Sicilia quindi fu un Regno facente parte della Corona d’Aragono insieme e al pari dei territori spagnoli e poi di Napoli, e fu governata da un viceré, alter ego del sovrano.
I catanesi si consolarono con alcuni privilegi concessi loro dalla regina Bianca.
Il successore di Ferdinando I, Alfonso il Magnanimo riunì il 25 maggio 1416, nella sala dei Parlamenti di castello Ursino, tutti i baroni e i prelati dell’Isola per il giuramento di fedeltà al Sovrano. A castello Ursino si svolsero, fino al 30 agosto, gli ultimi atti della vita politica che videro Catania come città capitale del regno.
Fu lo stesso re Alfonso che permise la nascita a Catania dell’Università più antica della Sicilia o Siciliae Studium Generale (1434). Inoltre il 31 maggio 1421, invitato da Gualtiero Paternò e Andrea Castello, che erano stati presenti al parlamento che il re aveva incontrato a Messina, il sovrano venne a Catania per riconfermare ufficialmente le “libertà” e gli “statuti” della città.
La Sicilia divenne parte dell’enorme complesso territoriale degli Asburgo di Spagna (detti “Austrias”), uno stato multinazionale, multietnico e multilinguistico su cui “non tramonta mai il sole”, governata in assenza del sovrano da un viceré (l’unico sovrano Austrias che soggiornò per qualche mese nell’isola fu Carlo V nel 1535, nel suo grandioso viaggio cerimoniale seguito all’impresa di Tunisi).
Catania fu favorita dai sovrani spagnoli, anche se si segnalavano di tanto in tanto rivolte dirette più contro il governo locale espresso dalla nobiltà cittadina (patriziato) e contro i rappresentanti del sovrano, più che contro la dinastia regnante.
Una sorta di guerra civile interna scoppiò nella città tra varie fazioni che si contendevano il governo municipale in occasione della confusa e travagliata successione al trono di Carlo di Gand (Carlo II di Sicilia e futuro Carlo V imperatore), e una sollevazione popolare si ebbe nel periodo delle rivolte siciliane (ma anche in varie altre parti d’Europa) del 1647 – 1648, il periodo più difficile del governo spagnolo sconfitto in Europa dalla Francia e nel pieno della drammatica crisi generale europea e mediterranea.
Dopo i conflitti del 1516-17 in segno di pacificazione il corpo dei Giurati adottò il “Cerimoniale” scritto da Alvaro Paternò (1522), che codificava le regole e l’ordine attraverso cui dovevano manifestarsi le gerarchie interne dei soggetti e dei poteri urbani in occasione delle grandi cerimonie laiche e religiose.
Fu l’esito conclusivo delle sanguinose lotte interne dei partiti e delle fazioni (che si indirizzò sempre più verso l’esterno con l’impegno militare al servizio della monarchia), e l’inizio di una nuova fase della vita amministrativa locale.
Gli anni Trenta del Cinquecento ci mostrano una città vitale e dinamica (tendenza all’incremento demografico ed all’espansione delle colture nell’area etnea, interventi pubblici nell’area urbana, restaurazione delle mura, costruzione di nuovi edifici sacri e nobiliari, diffusione della cultura del decoro), ma una serie di catastrofi naturali (tra 1536 e 1537 si ebbero eruzioni, scosse sismiche, esplosioni e nubi sulfuree che scuotono l’Etna e distruggono abitati, vigne, piantagioni dell’area collinare) ed il peggioramento della congiuntura politico-militare nel Mediterraneo ed in Europa, determinarono un clima diffuso di paure e ansie, aspettative escatologiche e millenaristiche.
Nel 1542 un grande terremoto sconvolse il Val Noto (nella stessa area dove avrebbe colpito nel 1693).
A Catania una cronaca narra che “tutta la cita si commossi a grande paura et timuri, credendosi ogni uno sumergiri et cum grandi planto et pagura gridando misericordia ogni uno andava verso la gloriusa sancta Agatha. Era grandi atterruri intendiri li gridati et planto di li donni et pichulilli, et per quistu quasi la mayuri parti di la cita, homini, donni et pichulilli, cum grandi devocioni et planto si congregaro in dicta mayuri ecclesia et incontinenti fu ordinata una processioni”.
Nel 1541 il viceré Gonzaga venne a Catania, prese provvedimenti per lo Studio e per il rifacimento della cinta muraria secondo i nuovi criteri dell’ingegneria militare. All’edilizia militare si accompagnava quella civile. Tommaso Fazello, in visita a Catania nel 1541, segnalava lavori di sopraelevazione degli edifici e annotava che i resti del mausoleo di Stesicoro si trovavano al di fuori della porta di Aci; cento anni dopo il Grossi descriverà in quegli stessi luoghi l’esistenza un nuovo quartiere di private abitazioni.
L’incremento edilizio accompagnò i costanti aumenti della popolazione registrati dalla metà del Quattrocento alla metà del Cinquecento: i due primi censimenti generali diedero per Catania e i suoi casali la cifra di 14.261 (nel 1505) e di 24.592 (nel 1548) abitanti, di cui circa la metà residenti entro le mura cittadine Catania aveva trovato sotto vari aspetti un carattere urbano e civico ben definito, un equilibrio e una struttura che la accompagneranno per lungo tempo senza alterazioni significative.
L’abitato si compatta dentro la ricostruita cinta muraria, nuovi edifici sacri, nobiliari e civici, nuovi spazi, vie, piazze, monumenti all’esterno, decorazioni, quadri, arazzi, dipinti all’interno degli edifici, le conferiscono quel ‘decoro’ che le nuove nobiltà perseguono e che affidano alla nuova sensibilità artistica rinascimentale.
Il ceto amministrativo, dopo un secolo di travagli, scontri, trasformazioni, ha elaborato un sistema che attutisce i conflitti e media tra gli interessi delle famiglie eminenti, che si consolidano e si chiudono all’interno delle rigide norme di accesso alla mastra.
L’Università laurea parecchie decine di giovani ogni anno e riesce a mantenere il suo monopolio anche contro i tentativi avversi di Messina e Palermo. Se fallisce il tentativo di costruire un molo capace di dare più sicurezza ai traffici e di accogliere naviglio di maggior stazza, l’economia ha tratto spinta ed equilibrio dall’integrazione piana/città/casali che sostiene lo sviluppo alimentare (grano/vino), commerciale e produttivo dell’intera area.
L’infausto XVII secolo e la rinascita successiva
L’eruzione del 1669 che investì la città fu una grande colata lavica, le cui bocche effusive si aprirono a bassa quota nel territorio del comune di Nicolosi, investì nel 1669 il lato ovest e il lato sud della città. I danni alle campagne, alle strade e alle difese furono molto gravi ma le stesse mura di difesa della città riuscirono a impedire, in massima parte, che la lava entrasse nel centro abitato.
È stato soprattutto il terremoto del 1693 ad impedire la sopravvivenza del tessuto urbanistico antico e medievale e a segnare profondamente anche l’assetto socio-economico della città, cancellando quasi la totalità della produzione artistica precedente. Scomparvero quasi del tutto le tracce della città greca, mentre una sorte migliore hanno avuto i monumenti di età romano-imperiale.
Dopo il terremoto del 1693, la città venne ricostruita secondo il disegno urbano promosso dal Duca di Camastra e, nel secolo seguente, si sviluppò sino a occupare uno dei primi posti nel commercio italiano.
Nel 1820 non aderì al moto indipendentista e fu coi costituzionali napoletani. Nel 1837 partecipò alle rivolte occasionate dal colera, e nel 1848-49 fu all’avanguardia del movimento autonomista.
Nell’agosto 1862 Giuseppe Garibaldi vi stabilì il centro organizzativo della spedizione conclusasi in Aspromonte. Nel 1891 venne fondato il Fascio di Catania, inizio ufficiale del più importante movimento dei Fasci Siciliani.
A partire dal 1902, la vittoria della lista popolare alle elezioni con il 56% dei voti diede inizio al periodo della sindacatura De Felice. Furono avviate le modernizzazioni dei servizi e un vasto piano di aggiornamento urbanistico e abbellimento della città.
Figura dominante del periodo fu Filadelfo Fichera, al quale si devono gli scavi e i lavori che portarono alla luce l’Anfiteatro di piazza Stesicoro nel 1906 e progetti edilizi e sanitari.
Nel 1905 si iniziò anche il servizio tranviario cittadino con le tre linee da Piazza Duomo a Picanello, Cibali e Guardia Ognina.
Furono sistemate un centinaio di strade prima a fondo naturale, prolungato il viale Regina Margherita e promossa la costruzione delle ville Liberty, sistemata la piazza d’armi (oggi Piazza G.Verga), che avrebbe ospitato, nel 1907, la prima Esposizione agricola.
Era già stata costituita la Ferrovia Circumetnea, che avrebbe in futuro collegato Catania ai diversi paesi dell’area Etnea.
Nel 1906 Edmondo De Amicis visitò Catania e la trovò splendidamente moderna. Nello stesso anno, l’assessore ai Lavori Pubblici, Luigi Macchi, assieme al Fichera approntò il “Piano regolatore” per il risanamento della città.
Fu acquisita la casa di Vincenzo Bellini e si preparò il riscatto del Castello Ursino per adibirlo a grande museo nazionale; venne costruita la passeggiata a mare di piazza dei Martiri, costruito l’ospedale Garibaldi e l’Ospizio dei ciechi.
Vennero posti i capolinea dei tram urbani a Cibali, Picanello e Guardia Ognina. Nel 1908, la città dovette affrontare il problema dell’immigrazione forzata di quasi 25.000 superstiti del terremoto di Messina, con la grande crisi di alloggi conseguente.
Nel 1912 fu approntato un grande progetto risanamento e di costruzione di larghe strade: un viale in rettifilo dalla Stazione Centrale a Via Etnea, il Viale della Libertà di 4 km dalla stazione a Picanello, una viale largo 50 metri che dal porto arrivi ad Ognina e un viale di 40 m dal Borgo a Cibali.
Ciò avrebbe permesso il risanamento dei malsani quartieri attraversati, Civita, Idria, S. Berillo, Stazione, dove l’anno prima era scoppiata l’ennesima disastrosa epidemia di colera a causa delle paurose condizioni igieniche delle case fatiscenti.
Nonostante gli entusiasmi, De Felice non riuscì a reperire i finanziamenti necessari, la guerra incalzava e l’interventismo iniziò a dare i suoi effetti. Con la guerra arrivò la crisi commerciale e dell’attività portuale: sarebbe stato il crollo economico. Il periodo d’oro era finito e i grandi progetti di risanamento urbano furono abbandonati.
Gli anni venti videro l’ascesa a Catania, con il fascismo, di Gabriello Carnazza, ministro dei LLPP nel primo governo Mussolini.
Nel periodo fascista, Catania visse un periodo di stagnazione, con l’industria zolfifera in crisi irreversibile, il che comportò la progressiva chiusura delle raffinerie della zona Stazione.
Era in forte difficoltà anche l’industria conciaria e quella del legno. A partire dal 1922, sotto la pressione del Carnazza, vennero costituite, col finanziamento dello stato al 70%, delle società per la bonifica del Lago di Lentini e poi del Pantano d’Arci e di altri della zona.
Lo scopo prefisso era quello di creare aziende agricole moderne e industrie indotte, ma le iniziative si sarebbero rivelate col tempo solo fonte di speculazione e avrebbero creato poco utile a fronte di grandi investimenti pubblici.
Catania si andava trasformando da città industriale e mercantile in città di servizi. Alla fine degli anni venti scomparvero tutti i protagonisti principali della scena politica catanese e l’atmosfera cittadina entrò in una fase di totale grigiore.
Unico evento degno di nota del periodo è l’inaugurazione dell’Aeroporto di Fontanarossa nel 1924. Segno dell’impoverimento, una statistica dei consumi della famiglia tipo cittadina: nel 1927 la spesa annua era di lire 11.472; nel 1930 era scesa a lire 9.715.
Alla fine degli anni venti vennero ripresi i vecchi propositi di risanamento dei centrali quartieri Antico Corso e San Berillo. Nel periodo 1928 e 1935 si ebbe la risistemazione delle strade centrali e la pavimentazione di quelle ancora a fondo naturale, la nuova rete d’illuminazione (la maggior parte è ancora a gas), la costruzione del Palazzo di Giustizia, il campo sportivo e il tiro a segno.
Il risanamento dei vecchi quartieri, le fognature, gli edifici per ospedali e scuole e case popolari avrebbe dovuto attendere la seconda fase di lavori, tra il 1936 e 1943. L’approssimarsi della guerra, però, avrebbe mandato tutto a monte.
Verso il 1931 venne bandito un concorso per un piano di fabbricazione della futura “grande Catania”, che considerava come “zone di ampliamento” della città quelle di Nesima, Cibali, Barriera, Picanello ed Ognina, con le zone di Santa Sofia e San Antonino a villini e con lo sventramento dei quartieri insalubri di Civita, San Berillo, Carmine, Antico Corso e Consolazione per il loro risanamento.
Si valorizzarono la zona dei monumenti antichi e medioevali, e la zona industriale a sud con le case dei lavoratori nella zona del porto. A ciò si aggiunse una serie di servizi comuni e sociali.
Sarebbero stati premiati alcuni progetti, ma nel 1935 si raffazzonò un Regolamento Edilizio del tutto differente. Rimasta senza un piano regolatore la città avrebbe continuato ad espandersi a nord in maniera disordinata e caotica e a sud con vere e proprie bidonville a ridosso del cementificio.
L’entrata in guerra non sortì alcun fermento, neanche per approntare i rifugi, così il bombardamento dell’aeroporto del 5 luglio 1940 fu un vero e proprio brusco risveglio. Nel contempo si era invece organizzato in “maniera industriale” il mercato nero. Dall’aprile 1943 iniziarono le incursioni aeree americane pesanti, con oltre 400 vittime civili e lo sfollamento caotico verso i paesini dell’interno di oltre 100.000 persone.
Dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia (9 luglio 1943), i Tedeschi, bloccato il generale Montgomery al ponte Primosole sul fiume Simeto, per sottrarsi alla manovra aggirante degli Anglo-Americani, difesero a lungo la città, che evacuarono soltanto il 5 agosto.
La città venne lasciata in uno stato di anarchia per molto tempo, con saccheggi e scassinamenti dei negozi.
L’incendio del Palazzo degli Elefanti del 14 dicembre 1944, che causò la perdita dell’archivio comunale (contenente anche documenti del Cinquecento), del Palazzo di Giustizia e del Banco di Sicilia riportarono brutalmente tutti con i piedi per terra.
La storia più recente
La fontana dell’Elefante e il duomo sullo sfondo
Negli anni cinquanta si iniziò la ripresa della città. Nel 1950 l’Aeroporto di Fontanarossa fu riaperto dopo una lunga ristrutturazione e si inaugurò la linea dei filobus di via Etnea, che sostituirono i vecchi tram.
Poi, grazie all’opera delle amministrazioni comunali dirette da vari sindaci, tra cui Domenico Magrì e Luigi La Ferlita, venne aperta la zona industriale di Pantano d’Arci che, in tempi recenti, sarebbe stata soprannominata Etna Valley.
L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare aprì un centro regionale in città, si iniziò la ristrutturazione del quartiere di San Berillo, la zona più degradata del centro città, attuando, ma in maniera disorganica, lo sventramento progettato già nel 1931.
Per gli alloggi degli abitanti del quartiere venne attuato un grande piano di costruzione nelle zone di Nesima inferiore a sud del viale Mario Rapisardi creando i quartieri di San Leone e San Berillo nuovo.
Furono creati grandi quartieri dormitorio anche a Nesima superiore.
Venne aperta la prima parte della Circonvallazione e iniziò la costruzione dell’odierno viale John Kennedy, che costeggia la Plaia, la spiaggia a sud del centro abitato.
Si arrivò così al boom degli anni sessanta, quando Catania venne definita la Milano del Sud per la dinamicità nell’economia e nell’espansione della popolazione.
Nel 1964 fu reso noto il Piano Regolatore Generale di Luigi Piccinato, che puntava al recupero delle zone più degradate, come San Berillo e San Cristoforo, dove tuttora ben poco è cambiato.
Iniziò la costruzione a Librino su progetto del giapponese Kenzō Tange, ma di fatto stravolgendone l’attuazione pratica.
Nel 1971 la popolazione toccò i 400.000 abitanti, quasi duecentomila in più in trent’anni. In quest’ambiente proliferava la mafia, ma nessuno ne parlava. Grandi appalti, possibili per l’assenza di un piano regolatore, vengono interamente gestiti dal clan di Benedetto Santapaola, detto Nitto.
I primi a denunciare la situazione furono i giornalisti della rivista I Siciliani di Giuseppe Fava, che sarebbe stato ucciso nel 1984.
Da allora la situazione è cambiata, anche se non radicalmente. La mafia è molto più nascosta, la città è decisamente più vivibile. Negli anni 1990 Catania ha inoltre conosciuto un’esplosione della sua vita notturna.
Ancora nel 1992 le sue strade erano quasi deserte alle 08.00 di sera, tranne quelle principali, e gran parte del centro storico era abbandonato e anche pericoloso. In seguito, grazie alla nuova politica dell’amministrazione del sindaco Enzo Bianco, che facilitò la concessione di licenze per l’apertura di ristoranti, caffè, pub, le strade del centro storico si sono popolate con migliaia di giovani, provenienti anche dai centri limitrofi.
Dal 2000 Catania ha iniziato una fase di grande ristrutturazione architettonica, promossa dall’ex sindaco Bianco.
La città, agli inizi del 2008, ha vissuto una grave crisi dovuta al dissesto economico delle finanze comunali lasciate dal sindaco dimissionario dando vita ad un grave buco finanziario per la città con innumerevoli disservizi, miliardi di debiti a società bancarie ed altri enti tra cui anche la società dell’ENEL facendo sì che la città venisse spesso lasciata al buio per sospensione dell’energia elettrica per la pubblica illuminazione.
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